
Scarso rendimento: sì al licenziamento, ma soltanto a determinate condizioni.
“E’ possibile licenziare per scarso rendimento?”. Sì, ma per quanto possibile in concreto, poi, non è così semplice provare l’inadempimento del lavoratore da c.d. “scarso rendimento“.
A oggi non esiste una normativa puntuale sullo scarso rendimento della prestazione lavorativa; si tratta in realtà di un’ipotesi che trae le sue fondamenta nella giurisprudenza, attraverso una interpretazione dell’art. 3 della legge 604/1966 in base al quale:
“Il licenziamento per giustificato motivo con preavviso è determinato da un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro ovvero da ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa.“
La norma anzidetta introduce solamente gli istituti del giustificato motivo, soggettivo ed oggettivo, quali cause di licenziamento differenti e meno gravi rispetto alla giusta causa ex art. 2119 c.c.; il giustificato motivo soggettivo è strettamente connesso alla condotta del lavoratore, quello oggettivo appare ancorato a scelte aziendali.
La giurisprudenza maggioritaria è tendenzialmente orientata nel senso di riconoscere allo scarso rendimento una valenza di carattere eminentemente soggettivo, in quanto indice di una prestazione insufficiente e inadeguata sotto il profilo del diligente adempimento degli obblighi discendenti dal contratto di lavoro; a tal proposito si ribadisce che al lavoratore viene richiesta una diligenza c.d. qualificata, e non quella media del buon padre di famiglia ex art. 1176 c.c. (Cass. 20 agosto 1991, n. 8973), richiedendosi così un quid pluris.
Il lavoratore è, infatti, tenuto a mettere a disposizione del datore di lavoro le proprie energie, svolgendo, nei tempi e nei modi stabiliti, la prestazione lavorativa richiesta secondo le disposizioni da quest’ultimo impartitegli e ad agire, ai sensi dell’art. 2104 c.c., con la diligenza richiesta «dalla natura della prestazione dovuta».
Sul punto la Suprema Corte ha affermato che «… il rendimento lavorativo inferiore al minimo contrattuale non integra ex se l’inesatto adempimento (…) dato che, nonostante la previsione di minimi quantitativi, il lavoratore è obbligato ad un faceree non ad un risultato e l’inadeguatezza della prestazione resa può essere imputabile alla stessa organizzazione dell’impresa o, comunque a fattori non dipendenti dal lavoratore» (Cass. 22 novembre 2016, n. 23735; Cass. 23 marzo 2017, n. 7522). Pertanto il datore di lavoro che rivendichi la legittimità del recesso per scarso rendimento non può limitarsi a dedurre il mancato raggiungimento del risultato atteso (obiettivo minimo di produzione) e la sua oggettiva esigibilità: egli è onerato della dimostrazione di un notevole inadempimento che discende da una valutazione complessa la quale involge il grado di diligenza richiesto dalla prestazione, quello usato dal lavoratore e l’esclusione della rilevanza di fattori inerenti all’organizzazione di impresa, nonché di fattori socio-ambientali (v. anche Cass. 10 novembre 2017, n. 26676).
E’ ben noto, oramai, in ambito giurisprudenziale l’utilizzo di una serie di criteri volti ad agevolare l’operato dei Giudici che si trovino di fronte una causa di tale natura e che debbano essere valutati nella loro globalità, perché, in concreto, non basta la semplice esigibilità, cioè che la condotta disattesa o il risultato non raggiunto possa rientrare nelle capacità medie degli altri colleghi. La stessa Cassazione con la sopra richiamata sentenza n. 26676 del 2017 ha stabilito che oltre al requisito dell’esigibilità è necessario anche dimostrare che “la causa dello scarso rendimento deriva da negligenza nell’espletamento della prestazione lavorativa”. Nonché è anche necessario verificare il nesso di causalità, ossia valutare se lo scarso rendimento possa essere imputato al lavoratore a titolo di dolo o colpa, o derivi da fattori non dipendenti dalla sua influenza (fattori ambientali ad esempio); e la rilevanza dell’inadempimento ex art. 3 legge 604/1966.
Pertanto il datore di lavoro che intenda procedere con un licenziamento per scarso rendimento deve in prima istanza verificare, dati alla mano, se abbia in suo possesso gli elementi idonei e sufficienti a imbastire una causa anche perché, si ricordi, che l’onere probatorio ricade su di esso, pertanto dovrà dimostrare l’esistenza di un notevole inadempimento da parte del lavoratore: ” … in mancanza di prova di un difetto di attività da parte del lavoratore, il solo dato del mancato raggiungimento degli obiettivi programmati dal datore di lavoro non legittima la risoluzione del rapporto per scarso rendimento (…) ” (Cass. Sez. lav. n. 26676/2017).
In ultimo va ribadito che ai fini di una valutazione concreta sulla presenza o meno di uno scarso rendimento del lavoratore, non è rilevante un singolo episodio né lo sono più episodi singolarmente considerati, bensì assume rilievo solo una condotta continuativa e reiterata tenuta dal lavoratore che provi il colpevole scarso rendimento; pertanto, tale licenziamento va comminato solo dopo un congruo periodo di monitoraggio della condotta del dipendente; trattandosi di licenziamento per motivo soggettivo, il datore di lavoro è tenuto a rispettare la procedura prevista dall’art. 7 L. 300/1970, e, considerato quanto appena detto, andrà considerata tempestiva anche una contestazione disciplinare che intervenga al termine del periodo di monitoraggio e, quindi, anche dopo diversi mesi dall’inizio della condotta “negligentemente scarsamente produttiva”.
Dott. Dario Di Mauro
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