
Rettificazione del sesso e scioglimento imposto dell’unione civile. La questione di legittimità costituzionale.
Proponiamo il seguente approfondimento sulla recente Ordinanza del Tribunale di Lucca del 14 gennaio 2022, con la quale viene sollevata la questione di legittimità costituzionale di diverse previsioni normative riguardanti l’impossibilità di conversione dell’unione civile in matrimonio, nell’ipotesi in cui una coppia, unita civilmente, manifesti il desiderio di conservare il vincolo costituito con detta unione anche dopo che una delle due parti abbia ottenuto una pronuncia di rettifica del sesso.
Com’è noto infatti l’art. 1, co. 26, L. 76/2016, prevede espressamente che “la sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso determina lo scioglimento dell’unione civile tra persone dello stesso sesso”.
Il caso riguarda un’unione civile costituitasi nel 2019 e parte dalla circostanza di una presa di coscienza della propria disforia di genere di una persona di tipo MtF, nato biologicamente uomo, ma identificandosi irrevocabilmente nel genere femminile.
Veniva adito il Tribunale di Lucca, affinchè venisse autorizzato l’intervento chirurgico strumentale alla riassegnazione del sesso, da maschile a femminile, con conseguente rettificazione dei dati anagrafici riguardanti il sesso, ed ordinato all’ufficiale di stato civile di iscrivere il matrimonio con il compagno, in luogo dell’unione civile, nel registro degli atti di matrimonio.
Va ribadito che a oggi, nell’ipotesi di rettifica del sesso, se la coppia coinvolta desidera conservare il vincolo familiare instaurato, e si tratta di una coppia sposata, allora si procede con la conversione da matrimonio a unione civile; se invece la coppia coinvolta, che desidera conservare il vincolo instaurato, era unita civilmente allora si assiste -brutalmente- allo scioglimento automatico dell’unione civile.
Nessuna conversione in quest’ultimo caso; altra ipotesi di evidente disparità -inaccettabile- tra i due istituti giuridici.
Il Tribunale toscano, ha ritenuto rilevanti e non manifestamente infondate, le questioni di legittimità costituzionale di cui al combinato disposto degli artt. 1, comma 26, L. 20 maggio 2016, n. 76; 31, commi 3 e 4 bis, D. Lgs. 1°settembre 2011, n. 150 e 70 octies, comma 5 D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, in relazione agli artt. 2, 3, 117 Cost. e 8 e 14 CEDU, quali ai parametri interposti ai sensi dell’art. 117 Cost.
Il Giudice ha ricordato il quadro convenzionale europeo e ha corroborato l’intangibilità di tale nucleo essenziale di diritti e doveri, in particolare l’art. 8 della CEDU – che sancisce il diritto alla vita privata e familiare – e l’art. 14 CEDU – che fissa il principio di non discriminazione.
Infatti, astrattamente, l’aspettativa legittima che acquisendo una nuova identità di genere opposto a quello del compagno, la propria unione venga convertita in matrimonio (essendo come ripetiamo prevista nell’ipotesi opposta), facendo salvi gli effetti (diritti e doveri acquisiti per effetto dell’unione), confligge con la previsione di un SCIOGLIMENTO/DIVORZIO IMPOSTO.
Meritoria quindi la profonda analisi del Tribunale di Lucca; attendiamo la pronuncia della Consulta.
[fonte foto studiocataldi.it]
Leave a Reply