Maltrattamento e abbandono di animali: condotte tipiche e giurisprudenza.

Ogni giorno nel nostro Paese crimini efferati vengono commessi a danno degli animali. 

Migliaia di vittime indifese costrette a soffrire in silenzio, nell’ombra, abusate e torturate con una crudeltà spesso inimmaginabile. 

Animali impiccati, annegati, bastonati, uccisi a colpi d’arma da fuoco, avvelenati, trascinati con le auto, dati alle fiamme. Queste sono le sevizie che quotidianamente tante creature indifese sono costrette a subire fino alla morte.

Il bene offeso è rappresentato dalla pietas nei riguardi degli animali, ossia da quel sentimento umano che induce alla “ribellione” nei confronti di coloro che incrudeliscono ovvero infliggono inutili sofferenze, ciò è tanto più grave nei riguardi degli animali antropizzati, quali cani e gatti, tenuti in condizioni, anche provvisorie, insopportabili per le loro caratteristiche, ma anche contrarie al senso di “umanità”.

In altre parole, per diritto vivente, assume sempre più importanza la mancanza di empatia della persona umana che pone in essere, anche solo per noncuranza o trascuratezza, comportamenti crudeli o spietati verso gli animali.

Il codice penale all’articolo 544-ter stabilisce che “1. chiunque per crudeltà o senza necessità cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche è punito con la reclusione da tre mesi a un anno o con la multa da 3.000 a 15.000 euro. 2. La stessa pena si applica a chiunque somministra agli animali sostanze stupefacenti o vietate ovvero li sottopone a trattamenti che procurano un danno alla salute degli stessi. 3. La pena è aumentata della metà se ne hai fatti cui al primo comma deriva la morte dell’animale.

Sono considerate maltrattamenti tutte le condotte che costringono un animale a vivere in condizioni inaccettabili (ad esempio far vivere un animale in spazi stretti o senza un riparo, o ancora non nutrirlo in maniera adeguata…); La Cassazione nel caso in cui il maltrattamento sia imputabile a terzi, e non al padrone, stabilisce che vi sia dato a quest’ultimo un risarcimento per i danni morali (Sent. n. 47391/2011); infatti secondo la Suprema Corte i maltrattamenti inflitti ad un animale si ripercuotono anche sul proprietario che ha quindi diritto a risarcimento.

Vanno inserite in questa evoluzione giurisprudenziale la sentenza n. 14734/2019, in cui la Cassazione affronta un episodio relativo al maltrattamento di asinelli da lavoro; la sentenza n. 5892/2019 in cui il Tar Lazio affronta il tema dell’utilizzo dei delfini per la pet-therapy; la sentenza n. 17691/2019 in cui la Corte di Cassazione chiarisce la giusta interpretazione della normativa generale e speciale sul giusto “utilizzo” di uccelli vivi per la pesca sportiva.

A ben vedere l’indifferenza, in controtendenza con l’accresciuto senso di rispetto verso l’animale in genere è avvertita nella coscienza sociale come una manifestazione della condotta di “abbandono” che va dunque interpretato in senso ampio e non letterale, ben potendo, nel comune sentire, qualificarsi l’abbandono come senso di trascuratezza o disinteresse verso qualcuno o qualcosa, al di là del topos del cane abbandonato per strada..

Il concetto penalistico di abbandono può essere ripreso dall’abbandono di “persone incapaci”. E anche in tali casi per abbandono va inteso non solo il mero distacco ma anche l’omesso adempimento da parte dell’agente, dei propri doveri di custodia e cura, nonché la consapevolezza di lasciare il soggetto passivo in una situazione di incapacità di provvedere a sé stesso.

Ebbene anche l’abbandono di animali può essere delineato non solo come precisa volontà di abbandonare (o lasciare) definitivamente l’animale, ma anche di non prendersene cura, nella consapevolezza della incapacità dell’animale (in particolare se domestico) di non poter o saper provvedere a se stesso. Si configura quindi il reato di cui all’art. 727 cod. pen. (e non si tratta, per l’appunto di contravvenzione dolosa, in quanto può essere commessa anche per semplice colpa) tutte le volte in cui si detiene un animale in condizioni incompatibili con la Sua natura, o in stato di abbandono, tanto da privarlo di cibo e acqua. In questi casi quindi l’agente è imputabile anche per semplice negligenza (Cass. Pen., IIISez., n. 41362/2014).

L’art. 727 cp si compone di due commi, il primo è focalizzato sull’abbandono di animali domestici o che abbiano acquisito abitudini alla cattività “chiunque abbandona animali domestici o che abbiano abitudini della cattività e chiunque detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di grande sofferenza può essere punito con l’arresto fino ad un anno o una multa da 1000 a 10.000 euro”; mentre il secondo prevede l’ipotesi della detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di grave sofferenza.

In estate, periodo in cui si raggiungono le punte massime di animali abbandonati, è importante che la sensibilizzazione contro il fenomeno dell’abbandono sia aumentata, ma è importante sottolineare anche chela trascuratezza e l’indifferenza verso la sorte del proprio animale è un reato. Chiediamo a voce alta maggiori diritti e tutele in nome di chi non può farlo da solo.