
L’uso improprio dei permessi legge “104” legittima il licenziamento da parte del datore di lavoro. Gli strumenti per il datore di lavoro e cosa può fare il beneficiario.
La condotta del lavoratore che sfrutti il pretesto dei permessi di lavoro riconosciuti per assistere un familiare disabile, ai sensi dell’art. 33 legge n. 104/1992, impiegandoli per svolgere attività personali diverse e slegate dall’assistenza al familiare, legittima il suo licenziamento in tronco.
Tale condotta costituisce altresì un illecito nei confronti dell’ INPS, oltre a imporre un impegno di spesa pubblica, che tutta la collettività sopporta, a tutela esclusiva della persona con disabilità, in più le giornate di permesso o di congedo richieste dal lavoratore, prevedono generalmente una riorganizzazione dell’attività lavorativa e spesso incombenze più gravose per i colleghi.
Com’è noto i permessi della L. 5 febbraio 1992, n. 104 (settore privato) e Dlgs 151/2001 (settore pubblico) spettano a:
– Lavoratori dipendenti sia pubblici sia privati, ai lavoratori delle imprese dello Stato degli Enti Pubblici e degli Enti locali privatizzati;
– Persone con disabilità grave che lavorano come dipendenti
– Lavoratori genitori dipendenti di figli in situazione di disabilità grave (naturali, affidatari o adottivi)
– Genitore, coniuge, parente o affini entro il 2 grado che lavorano come dipendenti pubblici e privati.
Dal 2010 non c’è più l’obbligo di prestare «assistenza continuativa ed esclusiva» durante le assenze, il che comporta la possibilità di gestire più flessibilmente il relativo tempo; chi usufruisce dei permessi non deve stare necessariamente tutto il giorno con il portatore di handicap. Una parte delle 24 ore può essere sfruttata anche per riposarsi e dedicarsi a quel minimo di attività sociale che, altrimenti, non si potrebbe svolgere.
Lo esplicita chiaramente un interpello del Ministero del Lavoro, il numero 30, del 6 Luglio 2010, nel quale il Ministero si esprime sulla possibilità di utilizzo del congedo straordinario, D.Lgs 151/2001, (una agevolazione differente rispetto ai permessi ma, è la motivazione espressa che qui ci interessa) per assistere il familiare con grave disabilità, qualora questi presti a sua volta attività lavorativa nel periodo di godimento del congedo da parte del familiare che presta assistenza, nell’interpello si legge “non sembra conforme allo spirito della normativa porre, a priori, un limite alla fruizione del congedo da parte di colui che assiste il familiare disabile.
Tale prassi risulterebbe peraltro in contrasto con i principi formulati dalla L. n. 104/1992 che mira invece a promuovere la piena integrazione del disabile nel mondo del lavoro e l’adozione delle misure atte a favorirla, così come in contrasto con le finalità di cui alla L. n. 68/1999.
Infatti, l’assistenza si può sostanziare in attività collaterali ed ausiliarie rispetto al concreto svolgimento dell’attività lavorativa da parte del disabile, quali l’accompagnamento da e verso il luogo di lavoro, ovvero attività di assistenza che non necessariamente richiede la presenza del disabile, ma che risulta di supporto per il medesimo (ad esempio prenotazione e ritiro di esami clinici).”
Quando tuttavia si configura un abuso e una violazione di tali permessi possono esservi conseguenze disciplinari che possono approdare anche al licenziamento per i casi più gravi di lesione del rapporto fiduciario.
La giurisprudenza, spesso interrogata sui mezzi che il datore di lavoro può impiegare per verificare se un proprio dipendente presta effettivamente assistenza al congiunto disabile durante i permessi in oggetto, come accaduto nel caso su cui si è recentemente pronunciata la Corte di cassazione, con la sentenza del 16/06/2021, ha affermato la legittimità del licenziamento di tutti i falsi utilizzatori dei permessi retribuiti dalla legge 104.
La pronuncia si inserisce nel solco di quella parte della giurisprudenza che qualifica legittimi i controlli del datore di lavoro sul dipendente beneficiario.
Se da una parte va ribadito il rispetto del principio stabilito dallo Statuto dei Lavoratori, che pone il giusto divieto di vigilare sull’attività lavorativa nei luoghi di lavoro (Art. 2 Legge 20 maggio 1970, nr. 300), dall’altra va evidenziato che detti controlli non riguardano l’adempimento della prestazione lavorativa in sé, poiché vengono effettuati al di fuori dell’orario di lavoro e in fase di sospensione dell’obbligazione principale lavorativa, e pertanto possono essere affidati anche a delle agenzie investigative e costituiscono prove attendibili sia i rilievi fotografici che le prove testimoniali degli investigatori introdotte nel processo (da ultimo Cass. civ. Sez. lav. n. 4670/2019).
Ai fini della rilevanza dell’abuso in sé è comunque “sufficiente la sola presenza del ricorrente in altro luogo e la mancata specificazione delle “altre attività” cui si sarebbe dedicato in alternativa il ricorrente”, comunque accertata.
L’orientamento giurisprudenziale maggioritario, ormai consolidato,Cass. sent. n. 4984/2014; n. 21967/2010, afferma che il datore di lavoro puòtra tutte anche far pedinare il dipendente durante i giorni di permesso retribuito, al fine di verificare la corretta utilizzazione delle giornate di riposo ed eventuali abusi.
Due sentenze della Corte di Cassazione, si sono espresse su due casi il 4984 del 4 Marzo 2014 e, 8784 del 30 aprile 2015, rappresentano storie di persone che, durante i giorni di permesso, vengono trovate in vacanza, oppure fuori città o a feste.
Se da una parte la normativa, non arriva a specificare esattamente i compiti o le attività che è possibile svolgere durante le ore di permesso legge 104/92, dall’altra andare ad una festa o partire per le vacanze durante queste giornate, non è un comportamento corretto e va sanzionato.
Il timore è che, al solito, per punire comportamenti poco corretti, si possa arrivare a sanzionare anche chi, invece, si comporta correttamente e che, questo possa portare le amministrazioni e i datori di lavoro, ad adottare una condotta di verifica estrema e inquisitoria.
La Legge 104/92, si ribadisce, nasce per promuovere e tutelare la piena integrazione della persona con disabilità nella società e nel mondo del lavoro, attraverso l’adozione di misure necessarie che, passano anche per il diritto alla assistenza. E’, pertanto, il diritto che la persona con disabilità ha, di ricevere assistenza per potersi integrare nella società, quello che la legge tutela.
La natura di questa agevolazione, non prevede che l’assistenza sia erogata espressamente per accudire fisicamente la persona, l’assistenza infatti può esplicitarsi anche in attività che sono di aiuto o di supporto alla persona con disabilità, come ad esempio l’acquisto di un medicinale, il pagamento di una bolletta, o altro. La normativa, non prevede neanche che, durante le ore di assistenza, il familiare debba rimanere a contatto con la persona da assistere e, certamente, non vi è un elenco di attività possibili o lecite.
In ultimo ricordiamo una importante sentenza della Corte di Cassazione, seconda sezione penale, n. 54712/2016 che alla luce delle decisioni dei giudici della consulta n. 213/2016 ha rilevato che i permessi mensili abbiano una duplice finalità:
a) vengono concessi per consentire al lavoratore di prestare la propria assistenza con ancora maggiore continuità;
b) vengono concessi per consentire al lavoratore, che con abnegazione dedica tutto il suo tempo al familiare handicappato, di ritagliarsi un breve spazio di tempo per provvedere ai propri bisogni ed esigenze personali.”
Inoltre, dicono ancora i giudici: “L’agevolazione consiste nel fatto che il beneficiario del permesso ha a disposizione l’intera giornata per programmare al meglio l’assistenza in modo tale da potersi ritagliare uno spazio per compiere quelle attività che non sono possibili (o comunque difficili) quando l’assistenza è limitata in ore prestabilite e cioè dopo l’orario di lavoro”.
La Corte infine detta questo principio di diritto: “Colui che usufruisce dei permessi retribuiti ex art. 33 L 104/1992, pur non essendo obbligato a prestare assistenza alla persona handicappata nelle ore in cui avrebbe dovuto svolgere attività lavorativa, non può, tuttavia, utilizzare quei giorni come se fossero giorni feriali senza prestare alcuna assistenza alla persona handicappata. Di conseguenza risponde del delitto di truffa il lavoratore che, avendo chiesto ed ottenuto il permesso di poter usufruire di quei giorni di permesso retribuiti, li utilizza per recarsi all’estero in viaggio di piacere, non prestando quindi alcuna assistenza”.
Crediamo quindi che assistere quotidianamente una persona con disabilità grave, sia un compito gravoso, non solo per la fatica fisica che questo comporta ma, anche, per la fatica psicologica del trovarsi accanto una persona che, spesso, dipende completamente da chi assiste. Inoltre le ore di permesso e le agevolazioni lavorative in generale, non sono certamente sufficienti a prestare una assistenza adeguata, soprattutto nei casi più gravi. In sostanza, crediamo non rientri in un comportamento contro la norma, pensare che, durante le ore di permesso 104 o durante i giorni di congedo straordinario, il familiare che assiste, possa poter utilizzare, detto tempo anche per riposarsi dalla fatica che l’assistenza ad una persona con grave handicap comporta ma, siamo anche dell’idea che, non debba essere stravolta la natura dell’impianto normativo e che la fruizione di questi permessi non vada abusata proprio in considerazione del fatto che essa comporta per il datore di lavoro la necessità di diversi adempimenti particolari ed aggiuntivi nell’amministrazione e gestione del personale.
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