
Il contratto di rioccupazione e dubbi applicativi.
Il decreto Sostegni- bis introduce il “contratto di rioccupazione” a tempo indeterminato da applicare in tutti i settori, legato alla formazione e ad un periodo di prova (massimo di sei mesi), con sgravi contributivi al 100%, da restituire nel caso in cui il lavoratore non venga poi assunto. Questi incentivi si cumulano agli altri già a disposizione delle aziende (sgravi al sud, per le assunzioni di giovani e donne).
Purtroppo questo bonus per le assunzioni, pensato per incentivare i datori di lavoro per arginare la possibile crisi occupazionale che si preannucia con la fine del blocco dei licenziamenti, si presenta già con molti limiti, alcuni quasi del tutto insuperabili.
La misura prevede che le assunzioni a tempo indeterminato realizzate dal 1 luglio 2021 fino al 31 ottobre 2021 di lavoratori in stato di disoccupazione e definite con un contratto formativo di inserimento, con il consenso del lavoratore godono per 6 mesi di un esonero contributivo totale, con massimo di 3000 euro complessivamente, esclusi i premi e contributi INAIL .
Alla fine del periodo di prova di 6 mesi in caso di mancata conferma dell’assunzione l’importo risparmiato deve essere versato all’INPS. Destinatari sono tutti i settori tranne agricoltura e lavoro domestico.
Tuttavia questa misura del nuovo contratto di rioccupazione rischia di rivelarsi l’ennesimo incentivo di nicchia, in un quadro di bonus per le assunzioni sempre più ingarbugliato e selettivo.
In realtà, si tratterebbe di un esonero totale “virtuale” poiché, al massimo, si potrà godere, come detto, di 3mila euro di incentivo.
La condizione essenziale per lo sgravio è la stipula, con il consenso del lavoratore, di un progetto individuale di inserimento, finalizzato a garantire l’adeguamento delle competenze professionali della risorsa al nuovo contesto lavorativo: il programma dura sei mesi, al termine dei quali le parti sono libere di recedere dal contratto. In quest’ultimo caso, il recesso datoriale comporterà il recupero del beneficio fruito.
Non sembra una misura idoena ad avere larga applicazione: il primo aspetto limitante sta in un altro requisito richiesto dalla norma, ossia l’assenza, nei sei mesi precedenti l’assunzione agevolata, di licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo o collettivi, nella stessa unità produttiva: aspetto, questo, difficile da immaginare, viste le prospettive conseguenti al termine del blocco dei licenziamenti.
Inoltre, per non restituire il beneficio, il datore di lavoro si dovrà impegnare a non effettuare licenziamenti nei sei mesi successivi alla fine del periodo agevolato, sia nei confronti del lavoratore assunto, sia di altri dipendenti di pari livello e categoria, in forza nella stessa unità produttiva.
E ancora: è richiesto il rispetto dei principi generali per la fruizione dei bonus assunzionali. L’assunzione non deve costituire attuazione di un obbligo preesistente, né violare il diritto di precedenza alla riassunzione di un altro lavoratore licenziato da un rapporto a tempo indeterminato o cessato da un rapporto a termine; il datore di lavoro non deve avere in atto sospensioni dal lavoro legate a una crisi o riorganizzazione aziendale (salvo che l’assunzione riguardi lavoratori con livello diverso rispetto a quelli sospesi, o da impiegare in diverse unità produttive).
Gli incentivi non spettano, poi, per i lavoratori che sono stati licenziati nei sei mesi precedenti da un datore con assetti proprietari sostanzialmente coincidenti o con rapporti di collegamento con il datore che assume.
Suscita perplessità anche la definizione molto blanda del progetto individuale di inserimento: è auspicabile che la conversione in legge del decreto possa dare qualche indirizzo sui contenuti specifici che deve avere.
Qui, l’estensore della norma ha ripreso, per la formazione, un concetto già presente nel vecchio contratto di inserimento, istituito dal D.L.vo n. 276/2003 ed abrogato dalla legge n. 92/2012 e, rispetto al quale, le parole relative al progetto di inserimento, appaiono essere le stesse inserite nell’accordo interconfederale dell’11 febbraio 2004, propedeutico a tale ultima tipologia contrattuale.
Senza certezze sulle modalità operative, il datore di lavoro potrà essere sempre richiamato a restituire l’incentivo laddove – in sede di verifica ispettiva – l’accertatore non ritenga “idoneo” il programma formativo. Infine, l’esonero contributivo collegato al contratto di rioccupazione – di fatto – non sarà fruibile da subito: la misura è subordinata all’autorizzazione della Commissione europea e occorre attendere anche le istruzioni gestionali dall’Inps.
Una sorte analoga stanno vivendo due dei bonus introdotti con l’ultima legge di Bilancio, ossia quelli per l’assunzione di giovani under 36 e di donne svantaggiate: in questi due casi – nonostante le circolari esplicative Inps siano già state emanate – l’autorizzazione Ue non è ancora stata notificata, costringendo i datori di lavoro interessati ad attendere non solo l’effettivo godimento dei benefici ma anche il recupero delle quote pregresse finora maturate.
In questo panorama, si registra poi una sorta di incongruità tra l’obiettivo della norma (“incentivare l’inserimento nel mercato del lavoro….. nella fase di ripresa delle attività dopo l’emergenza epidemiologica”) e la data finale del periodo di applicazione del contratto di rioccupazione (31 ottobre 2021). L’incongruità è dimostrata dal fatto che il 1° novembre finisce il blocco dei licenziamenti nelle imprese meno strutturate che fanno ricorso alla CIG in deroga (sono quelle che occupano fino a cinque dipendenti) ed all’assegno ordinario del FIS e dei Fondi bilaterali, con un prevedibile aumento dei recessi. Ebbene, questi lavoratori non potranno beneficiare dei “vantaggi” del contratto di rioccupazione che, salvo “spostamenti in avanti” dell’ultimo giorno previsto, cesserà di esistere prima del loro licenziamento: è auspicabile che, in sede di conversione, si ponga rimedio a ciò che oggi sembra una “svista” dell’estensore.
[foto via twitter.com]
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